UN AMORE IMMORTALE

Pensavo che i ricordi rimanessero intatti, passando così dalla noia all’estasi, dall’illusione all’amarezza. Invecchiare è costruire una casa sempre più grande servendosi di reminiscenze, reliquie, sprazzi di luce, ombre compatte, massi pesanti. Abitavo una casa dalle finestre chiuse, murate, perché davano su un terreno abbandonato diventato pubblica discarica poiché in città non c’erano più spazzini. Quella casa mi assomigliava. Raggrinzita ma dignitosa. Era il mio rifugio, il mio piccolo cimitero segreto, il mio giardino privato. Nella mia mente Gazelle dormiva lì, anche se il mare non ne aveva mai restituito il corpo. Avevo deciso che avrebbe riposato nella stanza blu, dove amavo scrivere e mi capitava di addormentarmi con la penna in mano. Non posso dire che la mia vita fosse finita con il dramma di Ravello. Spesso pensavo a Gazelle, l’abbellivo, facevo di lei una principessa dell’ amour fou, una poesia triste e commovente. La custodivo come un tesoro prezioso e inaccessibile.

Era sempre con me, anche quando vivevo altre storie, incontravo altri volti, altri corpi. Come si dice, il primo amore è sempre l’ultimo… In effetti, lo cercavo negli occhi di altre donne. Ero posseduto e talvolta spossato. Ero stanco di lei. La mia memoria era esausta, non mi sopportava più, mi giocava dei brutti scherzi, mi confondeva. M’incitava a separarmi da quel corpo diafano, ad allontanarmi da quella stagione d’amore interrotta brutalmente. Io non volevo dimenticare. Al contrario, mantenevo vivi quegli ultimi istanti di una felicità senza pari; mi capitava di dubitare della loro esistenza. Forse ero solo un vecchio poeta che credeva di aver accolto nella sua vita un amore immortale.

Tahar Ben Jelloun, il labirinto dei sentimenti

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