TI PIACE L’AMORE?

A settembre la prima pioggia sull’isola era accolta con i recipienti all’aperto. Era allegro il rumore delle gocce dentro le bacinelle, i secchi, le pentole e i tegami. L’acqua piovuta dopo molto asciutto era una tarantella scatenata tra i cortili. Mamma raccolse in un secchio la sciacquatura dei miei capelli. M’incamminai all’aperto. La testa bagnata metteva fresco alle tempie.
L’appuntamento era al molo, lei era già lì sotto un fanale carico di farfalle della luce. Si staccò da loro, venne incontro e disse divertita: “Ti sei ripulito per me? Lusingatissima, messere”.
“Questo è il mio primo appuntamento, damigella.”
Ci avviammo alla spiaggia dei pescatori, sgombera di sera. Le barche in secco allineate offrivano l’appoggio per la schiena e tra di loro tutta la quiete che serviva. Ci sedemmo sulla sabbia vicini, spalla a spalla, non veniva voglia di parlare. Qualche voce usciva dalle stanze dei pescatori, dal mare no che faceva il solletico alla riva.
“Ti piace l’amore?” chiese guardando dritto di fronte, dove si alzava la fiancata di una barca colorata di bianco e di una striscia azzurra.
“Prima di questa estate lo leggevo nei libri e non capivo perché gli adulti si scaldavano tanto. Adesso lo so, fa succedere cambiamenti e alle persone piace essere cambiate. Non so se piace a me, però ce l’ho e prima non c’era.”
“Ce l’hai?”
“Sì, mi sono accorto di avercelo. È cominciato dalla mano, la prima volta che me l’hai tenuta. Mantenere è il mio verbo preferito.”
“Cose buffe dici. Sei innamorato di me?”
“Si dice così? È cominciato dalla mano, che si è innamorata della tua. Poi si sono innamorate le ferite che si sono messe a guarire alla svelta, la sera che sei venuta in visita e mi hai toccato. Quando sei uscita dalla stanza stavo bene, mi sono alzato dal letto e il giorno dopo ero a mare.”
“Allora ti piace l’amore?”
“È pericoloso. Ci scappano ferite e poi per la giustizia altre ferite. Non è una serenata al balcone, somiglia a una mareggiata di libeccio, strapazza il mare sopra, e sotto lo rimescola. Non lo so se mi piace.”
“Il bacio che ti ho dato, quello almeno ti è piaciuto?”
“Quello non era dato a me, era sbattuto in faccia a loro due per terra.”
Seduti di fianco in poca luce, le parole venivano su svelte, a bollicine.
“Allora te ne devo uno tutto tuo?”
Si voltò verso di me. Per istinto volevo girarmi dalla parte opposta, ma una forza imprevista mi girò testa e collo dalla parte sua. Si fermò la parlantina che mi era uscita facile mentre non la guardavo. Era così bellissima vicina, le labbra appena aperte. Mi commuovono quelle di una donna, nude quando si accostano a baciare, si spogliano di tutto, dalle parole in giù.
“Chiudi quei benedetti occhi di pesce.”
“Ma non posso. Se tu vedessi quello che vedo io, non li potresti chiudere.”
“Da dove ti spuntano questi complimenti, piccolo giovanotto?”
“Che complimenti? Dico quello che vedo.”
“Ora basta.” Mi passò le dita sopra gli occhi e poi con quelle dita scese ai lati del naso,
passando per la bocca, fino al mento. E mi posò le labbra sulla bocca mezza aperta dalla meraviglia.
“Meraviglia,” dissi quando si staccò, facendolo pianissimo.
“Questo era tuo. Te lo chiedo ancora, ti piace l’amore?”
“Be’ sì, se è questo, sì.” Pensai che avrei capito tutti i libri da quel momento in poi.

ERRI DE LUCA, i pesci non chiudono gli occhi

 

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