Cari e mansueti gorilla, a noi donne, più che la mimosa secca che ci regalate l’8 marzo, dopo che è stata tutto il giorno sul cruscotto, servirebbe che imparaste, tutti i giorni, piccole e grandi cose.
Ci sarebbe già di conforto che non vi faceste lo shampoo con il balsamo, per dire, e capiste che tanto non fa schiuma anche se, nell’insaponarvi, ci mettete l’energia che ci vuole per stancare un vitello prima della marchiatura.
Avremmo desiderio che i calzini, così come lo sono alla nascita, continuino a vivere appaiati persino quando saranno distanti dai vostri piedi. Ci piacerebbe che capiste, almeno una volta ogni quinquennio, cosa vi vogliamo dire a volte col nostro silenzio.
Se ci vedete tacite e silenziose, provate a girarvi. Se per terra, dietro di voi, vedete venti merde a forma di piede, pensate che forse ci sarebbe piaciuto che vi foste levati le scarpe dopo essere passati avanti e indietro nella fanga.
Vorremmo inoltre che oltre a sapere a memoria il numero di piede di Marchisio, vi ricordaste anche i giorni di ricevimento dei professori dei figli. Adoreremmo che poteste comprendere, tra le varie e tante possibilità che vi si affacciano nella mente, che un bicchiere nel lavandino non deve per forza rimanere lì, ma è possibile lavarlo con due soli colpi di spugnetta… E che le pentole antiaderenti non sono fatte per disegnarci sopra dei geroglifici con la punta del coltello.
Apprezzeremmo che non consideraste come dogma assoluto che l’arrosto della mamma è più buono di quello che cuciniamo noi. Il Creatore non ha detto: «E la suocera fece l’arrosto, fatelo sempre così in memoria di me».
E saremmo felici se poteste non rimirare le tette delle altre come se fossero un’opera d’arte e le nostre come due vecchie cugine. Ci piacerebbe che prendeste il raffreddore per quello che è, e cioè un insieme di starnuti che dura quattro giorni, e non come una malattia invalidante senza speranza…
Saremmo liete se almeno una volta nella vostra vita provaste ad appendere i pantaloni sull’attaccapanni in modo logico, pensandoci un attimo. Il gancio, per esempio, non va infilato dentro l’orlo.
Infine, vorremmo tranquillizzarvi: cari homi sapiens sapiens, state sereni e non temete. Dire una volta tanto «Ti amo» non crea né impotenza né assuefazione.
Luciana Littizzetto, Madama Sbatterflay