LUCA GIANNOTTI, L’ARTE DI CAMMINARE

Per anni si è detto “andiamo in montagna”. Più tardi si disse “andiamo a fare trekking”. Ma qualcosa sta cambiando nel modo di vivere l’esperienza del camminare, non si cammina solo in montagna, e il termine “trekking” è ormai sinonimo di un camminare di pura evasione. Ora “ci si mette in cammino”, “si parte per un cammino”.
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Si parla spesso della riscoperta della lentezza grazie al camminare, ma cosa significa camminare lento?

La percezione della velocità del nostro cammino è più che altro interiore. Tra una camminata lenta (circa tre chilometri all’ora) e una camminata veloce (circa cinque chilometri all’ora) non c’è poi tutta questa differenza, se inseriamo queste due velocità nei parametri a cui siamo abituati, perché la percezione della velocità è basata su mezzi molto più veloci, che viaggiano a 50 o 100 chilometri all’ora.

Entrambe queste velocità, del camminare lento e del camminare veloce, sono velocità lente. E allora perché certe volte ci sentiamo in affanno ma non sappiamo rallentare?

Il bello di un cammino lungo, di tanti giorni, è che si provano tutte le situazioni possibili. Si parte con un passo, e man mano che si entra in allenamento si accelera, senza far fatica. Ma poi si rallenta, in fondo non stiamo correndo da nessuna parte, il nostro cammino è la meta del nostro andare, stiamo bene così, e anzi quasi quasi non vorremmo arrivare alla fine. Per questo rallentiamo. Gli ultimi giorni di un lungo cammino si fa “melina”, perché si ha un po’ paura di tornare a casa, si teme di interrompere quello stato idilliaco in cui ci troviamo.

Se invece per qualche motivo siamo costretti ad accelerare (piove, diventa buio, qualcuno si è fatto male), ecco che da tre chilometri all’ora passiamo a cinque, ma siamo sotto stress. E lo stress che fa la differenza. Che ci impedisce di vivere serenamente il nostro cammino, il non saper più vivere nel qui e ora ma essere proiettati all’arrivo.

A quel punto andremo in affanno, e la camminata da lenta diventerà veloce, perché la sentiremo innaturale.

Questo significa camminare lento: saper vivere il presente senza fretta, godersi il cammino fermandosi a osservare un fiore o a scambiare due parole con un contadino, sapendo che, siccome abbiamo la tenda con noi, e del cibo di scorta, possiamo anche far tardi, nessuno ci aspetta, non corriamo nessun rischio. Per questo i cammini in completa autonomia, in libertà, nei quali il nostro zaino diventa la nostra casa, nei quali abbiamo con noi la tenda, i viveri, il necessario, sono i più terapeutici. Possiamo fermarci quando vogliamo. È bello studiare le tappe, studiare dove vorremmo arrivare oggi, guardare e riguardare la carta cento volte mentre stiamo camminando, ma poi è di gran soddisfazione cambiare programma, fermarsi prima, perché c’è un bel prato con una fontana, perché c’è un rifugio che non era sulla mappa, oppure andare oltre perché siamo in anticipo e abbiamo ancora voglia di camminare.

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Il benessere del camminare non è solo fisico. Come dice Bernard 0llivier, uno che se ne intende perché ha camminato migliaia di chilometri, il corpo dà il ritmo, ma il cammino induce una specie di dinamica spirituale: «Non avevo mai provato con tanto piacere l’azione del pensiero. Constatavo, e in seguito l’ho verificato molte volte, che camminare è un esercizio più spirituale che fisico. Riesce a uccidere i pensieri negativi. E tutti i problemi diventano relativi».
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Viaggiare camminando vuol dire entrare in contatto con la Terra, che calpestiamo passo dopo passo, e con la Natura, a cui abbandonare i nostri sensi per farci accogliere in un abbraccio ristoratore e rigenerante. E dunque abbracciare un albero, dormire sotto le stelle, ascoltare il silenzio, annusare e assaggiare le erbe che si incontrano, bagnarsi nei torrenti o nelle calette isolate dei mari mediterranei, ammirare il volo di un rapace, sono tutte emozioni che ci riempiono di energia.

È un viaggiare a bassa velocità, e quindi è la forma di viaggio che consente maggiormente un approfondimento verticale dei luoghi attraversati.

Il camminare si è evoluto in questi anni da attività sportiva e performante (arrivare sulla cima) ad attività di vagabondaggio, spirituale, di crescita interiore.

Il camminare è un gesto rivoluzionario, sempre di più, controcorrente, ma anche un bisogno profondo che torna a galla.

Di tutto questo vi vuole parlare questo libro, introducendovi a questa nobile arte.
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Molte persone partono portandosi libri, letture su argomenti legati al viaggio o romanzi di semplice evasione. Ma da un cammino non si evade. Il cammino ti assorbe completamente, non ti lascia il tempo e la concentrazione per allontanarti dal suo presente. Il cammino vive nel qui e ora. Gli inesperti portano i libri, romanzi che parlano di altri tempi e altri luoghi, per poi accorgersi che non è il caso, che se proprio durante un viaggio a piedi abbiamo un momento libero, un momento solo per noi, un momento di riposo, meglio impiegarlo per farsi una passeggiata sulla spiaggia, o tra i vicoli di un paese, oppure per vedere il tramonto seduti su una roccia. E poi i libri pesano, e il peso delle cose non necessarie è doppio. Il peso nello zaino di un oggetto che sappiamo non ci serve, che non è nostro, di cui non vediamo l’ora di liberarci, è come un macigno, e il nostro pensiero ogni volta che ci carichiamo lo zaino va a questo peso, e a come liberarcene, dove abbandonarlo. Quindi i libri è meglio lasciarli a casa.

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Il lavoro al ritorno è importante, se rientrando da un cammino entusiasmante non si riesce a staccare subito dal viaggio fatto, non è un male, anzi. Il viaggiatore che passa da una situazione all’altra senza saper rielaborare vive il viaggio come mordi e fuggi. E non sa coglierne tutti gli aspetti positivi.
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Il camminare con gli asini è ancora poco diffuso, almeno qui in Italia. Ma prevedo una rapida crescita, perché è perfettamente in sintonia con il nuovo modo di camminare. Libero, lento, meditativo. È una forma di viaggio a basso impatto ed è un segnale importante di ritorno a un contatto vero con la natura e con il bisogno di rallentare. Facilita le relazioni e l’incontro con realtà locali minori.

Gli asini sono animali facili da gestire, anche per chi non ha esperienza. È sufficiente mezza giornata di formazione e poi si può partire. Con tutta l’umiltà e il rispetto che una nuova esperienza e una nuova relazione richiedono.

L’asino è un animale dal sapore antico, che ci insegna la pazienza e l’arte di rallentare. Camminare in compagnia di un asino diventa dunque un camminare lento, con molte soste, è un camminare da paese a paese, gli incontri sono facilitati, i bambini e gli anziani si fermano contenti al passaggio di un asino. Gli adulti, invece, sembrano spesso non vederli. E questo fa riflettere. Gli asini portano i bagagli, ma intraprendere un cammino con loro pensando di fare meno fatica, e quindi pensando solo alla parte utilitaristica della questione, rischia di essere un errore di cui vi pentirete. Gli asini portano i bagagli, questo è vero, e dobbiamo ringraziarli per la possibilità che abbiamo di alleggerirci la schiena. Ma richiedono anche impegno, sia fisico sia psicologico. L’asino va accudito, coccolato, incoraggiato quando si distrae, incentivato quando si impunta, insomma è un po’ come andare in cammino con un bambino di otto anni, che può darvi grande soddisfazione e riempirvi il cuore di gioia, ma può anche stressarvi e farvi perdere la pazienza.

Così come l’asino è paziente, così dobbiamo esserlo noi. Sfatiamo un luogo comune: che l’asino sia stupido e testardo. Non è così. È molto intelligente, ma non è un soldatino che vi ubbidisce, non è un cane e non è un cavallo. Dal suo elegante cugino si differenzia perché vuole decidere lui cosa fare e cosa non fare.

Un tempo, se l’asino non voleva fare una cosa, lo si bastonava, con il risultato che lui – molto permaloso – si offendeva e a quel punto era difficile convincerlo. L’asino dunque va preso con le buone maniere, e spesso è sufficiente dargli il tempo di riflettere. È un animale lento, quindi gli serve tempo. Se per esempio si deve guadare un torrente, l’asino all’inizio si rifiuterà di farlo. Lasciategli il tempo di osservare, annusare l’acqua, prendere le distanze, e continuate a incoraggiarlo facendogli capire che è proprio di lì che dobbiamo passare, che non ci sono alternative.

Pian piano si convincerà, e passerà.

L’asino infatti passa dappertutto, anche dove non sembra possibile. Guada fiumi, cammina nella neve, su roccette ripide, scala sentieri impervi. Ma dovete essere voi ad avere l’esperienza per saperlo condurre. E l’esperienza si costruisce camminando con questi animali, prima su sentieri facili e poi sempre più difficili.

Se si vogliono affrontare sentieri difficili i problemi possono comunque esserci, dobbiamo essere preparati a situazioni complesse. Una volta stavo scendendo un sentiero di montagna con quattro asini, di cui due asinelle giovani, alla prima esperienza di cammino. Era piovuto molto nei giorni precedenti, e i torrenti erano davvero impetuosi. Siamo arrivati in un punto in cui il sentiero superava il torrente con un ponticello di legno. Gli asini si spaventano a camminare sui ponticelli stretti, di assi e, siccome lo so, cercavo un’alternativa. Il torrente non era larghissimo, anche se un po’ scavato. Gli asini non volevano proprio saltare, il problema di averne quattro è che si comunicano la preoccupazione tra loro, molto più facile gestirne uno solo. Con pazienza, abbiamo lasciato gli asini brucare un po’ nei pressi del torrente, poi abbiamo riprovato, senza successo. Abbiamo allora studiato uno scavalco dall’alto della montagna, un aggiramento del problema. E ci siamo avviati con asini e carico su per una ripida scarpata, per poi scoprire che in discesa non si riusciva a passare per un breve tratto finale ripido e infrascato. Siamo ritornati indietro. Scoraggiati. Era passata già un’ora. Altra sosta per tranquillizzare gli asini, e poi ennesimo tentativo, più deciso, più convinto. Quando siamo decisi e convinti, gli asini lo sentono, e infatti così è successo: sono passati saltando senza esitazioni! E la cosa più incredibile è che quando passano lo fanno con disinvoltura, senza mostrare problemi, come se dicessero: «Dai, andiamo, tutto qui?». E di storie così ne potrei raccontare tante.

Ma in situazioni simili si suda, si tira, si spinge, e si rimpiange di non essere partiti da soli con lo zaino in spalla. Perché la psicologia dell’asino è difficile da capire. Sono già tanti anni che ho a che fare con loro, ma più so, più so di non sapere.

Nei momenti di difficoltà l’asino sente che non può distrarsi, e allora avrete al vostro fianco un animale dispostissimo a seguirvi. Questo è uno degli aspetti belli che ho scoperto.

E non è vero che, poverini, li sfruttiamo portandoceli dietro a camminare. Gli asini amano camminare, muoversi. Come tutti, odiano stare chiusi in recinti. Anche se il recinto è grande, a loro interessa sempre ciò che c’è fuori.

E anche se all’inizio sembra non vogliano partire, e fanno un po’ di capricci, poi camminare per qualche giorno in compagnia di umani li fa star bene. Come per noi umani, devono entrare nella dimensione del camminare, e servono anche a loro un paio di giorni. Se conoscono il sentiero, per loro diventa più facile, ma più noioso. Ma al ritorno da un lungo cammino vedrete l’asino trasformato, gli occhi più espressivi, il pelo più lucido, l’aspetto più sano. L’asino è uno specchio del vostro benessere.

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In ogni caso, è vero che viaggiare a piedi è il modo di viaggiare più in sintonia con i principi della decrescita. Un viaggiare come gli antichi viandanti, come i nomadi. Fuori dalle solite rotte, lontano dalla pazza folla. Valorizzando l’utilizzo di strutture ricettive familiari, la cucina locale, i sapori veri.

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