Se consideriamo le nostre vite e i nostri sforzi osserviamo, ben presto, che quasi la maggior parte delle nostre azioni e dei nostri desideri è collegata all’esistenza di altri esseri umani.
Notiamo che la nostra natura somiglia in tutto a quella degli animali sociali. Mangiamo cibo che altri hanno coltivato, vestiamo abiti fatti da altri, viviamo in case costruite da altri. La più grande parte del nostro sapere e delle nostre convinzioni ci è stata comunicata da altra gente, per mezzo di un linguaggio creato da altri. Senza il linguaggio le nostre capacità sarebbero affatto misere, comparate a quelle degli animali superiori; siamo obbligati perciò ad ammettere che dobbiamo il nostro principale vantaggio sulle bestie al fatto che viviamo in una società umana. L’individuo, se lasciato solo dalla nascita, resterebbe primitivo e bestiale, nei pensieri e nei sentimenti, in una misura che possiamo a stento concepire. L’individuo è quello che è, e il suo significato non gli viene tanto in virtù della sua individualità, ma piuttosto in quanto membro di una grande società umana, che indirizza la sua esistenza materiale e spirituale, dalla culla fino alla tomba.
Il valore di un uomo per la comunità dipende principalmente dal modo con cui i suoi sentimenti, pensieri e azioni sono diretti a promuovere il bene dei suoi simili.
Lo consideriamo buono o cattivo secondo questo metro. All’apparenza sembra come se la nostra stima di un uomo dipenda interamente dalle sue qualità sociali. Eppure un simile atteggiamento sarebbe sbagliato. E’ chiaro che che tutte le cose di valore, materiali, spirituali e morali, che noi riceviamo dalla società, possono essere ricondotte all’origine attraverso innumerevoli generazioni di determinati individui creativi. L’uso del fuoco, la coltivazione delle piante commestibili, la macchina a vapore, ogni cosa fu scoperta da un singolo uomo.
Il Mondo Come Io Lo Vedo, Albert Einstein
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