“Si scrive di cicatrici guarite, un parallelo comodo della patologia della pelle, ma non esiste una cosa simile nella vita di un individuo.
Vi sono ferite aperte, a volte ridotte alle dimensioni di una punta di spillo, ma sempre ferite.
I segni della sofferenza sono confrontabili piuttosto con la perdita di un dito o della vista di un occhio.
Possiamo non perderli neanche per un minuto all’anno, ma se li perdessimo non ci sarebbe niente da fare.”
F.S.Fitzgerald
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“Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa
riempiendo la spaccatura con dell’oro.
Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello. Questa tecnica è chiamata “Kintsugi”.
Oro al posto della colla. Metallo pregiato invece di una sostanza adesiva trasparente. E la differenza è tutta qui: occultare l’integrità perduta o esaltare la storia della ricomposizione?
Chi vive in Occidente fa fa tica a fare pace con le crepe.
“Spaccatura, frattura, ferita” sono percepiti come l’effetto meccanicistico di una colpa, perchè il pensiero digitale ci ha addestrati a percorrere sempre e solo una delle biforcazioni: o è intatto, o è rotto. Se è rotto, è colpa di qualcuno.
Il pensiero analogico -arcaico, mitico, simbolico-
invece, rifiuta le dicotomie e ci riporta alla compresenza degli opposti, che smettono di essere tali nel continuo osmotico fluire della vita.
La Vita è integrità e rottura insieme, perché è ricomposizione costante ed eterna. Rendere belle e preziose le “persone” che hanno sofferto. questa tecnica si chiama “amore”.
Il dolore è parte della vita. A volte è una parte grande, e a volte no, ma in entrambi i casi, è una parte del grande puzzle, della musica profonda, del grande gioco.
Il dolore fa due cose: ti insegna, ti dice che sei vivo. Poi passa e ti lascia cambiato. E ti lascia più saggio, a volte. In alcuni casi ti lascia più forte. In entrambe le circostanze, il dolore lascia il segno, e tutto
ciò che di importante potrà mai accadere nella tua vita lo comporterà in un modo o nell’altro I giapponesi che hanno inventato il Kintsugi l’hanno capito più di sei secoli fa – e ce lo ricordano sottolineandolo in oro.”
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Quando all’animo sensitivo è inferta una ferita profonda, che però non uccide il corpo, l’animo si riprende quando il corpo guarisce. Ma solo apparentemente. In realtà, è solo il meccanismo delle abitudini che torna in funzione. Lentamente, molto lentamente, la ferita dell’anima inizia a farsi sentire, come un livido che solo lentamente fa affiorare un dolore intenso, fino a riempire l’intera psiche. E quando si pensa di essere guariti e di aver dimenticato, è allora che ci si imbatte nelle conseguenze più terribili”.
David Herbert Lawrence, L’amante di Lady Chatterley
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Eppure il dolore dell’anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare.
Oriana Fallaci
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Il tempo non guarisce tutte le ferite. E continuano a stupirmi la persistenza e il potere della tristezza sull’essere umano. Forse il tempo guarisce le ferite superficiali, ma non viene certo a capo di quelle profonde. Col passar degli anni, le cicatrici fanno male quanto le ferite. “Tieni alta la testa,” “mento in fuori,” “Passerà anche questa,” ecc. sono tutti consigli che non servono a molto. L’importante è costruirsi un bozzolo intorno al cuore e non lasciarsi influenzare dal passato.
Marlene Dietrich