FRASI SULLA POLITICA

Decine, forse centinaia di migliaia di donne e di uomini sono al lavoro, negli interstizi del disordine globale, per «riannodare i nodi», ricucire le lacerazioni, «elaborare il male». Per sciogliere i grumi d’inimicizia che i dislivelli planetari (il ritorno feroce dell’ineguaglianza), i conflitti identitari (etnici, religiosi, la degradazione della «politica delle tribú»), lo spettacolo osceno dell’ingiustizia rappresentato sul palcoscenico del sistema-mondo, vanno con velocità crescente addensando. Li si trova a Banja Luka e a Prjedor come a Baghdad o in quella terra che solo con impietosa ironia si può continuare a definire «santa», nella miseria radicale delle favelas latinoamericane come nel fetore delle periferie africane, nel cuore di Kabul come nelle banlieux di Parigi, o negli slum di New York o di Londra, tra le macerie di Grozny e la polvere di Mogadiscio, a riparare dal basso i danni che i flussi sradicanti dell’economia e della politica (del Mercato e dello Stato) producono. Sono loro che «vedono» (e raccontano) quello che i giornalisti professionisti ignorano passandogli accanto. E sono loro quelli che riparano ciò che gli eserciti frantumano (corpi e cose) e lasciano dietro di sé in pezzi. I politici di professione, gli «statisti» – quelli che dominano sulle prime pagine dei giornali e che decidono l’impiego degli eserciti – li guardano con un sorriso di commiserazione, come si guardano le anime belle. Ma sono loro l’unico embrione, fragile, esposto, di uno spazio pubblico non avvelenato o devastato nella città planetaria.
Non sono ancora il presente. Sono tutt’al piú un vago presagio di futuro. Di una possibile, inedita, politica del futuro. E dovranno a lungo convivere con la politica del passato: quella degli Stati (e della ragion di Stato), degli eserciti, delle diplomazie. Quella che crede ancora nell’onnipotenza della Tecnica (nella tirannia salvifica del «sistema dei mezzi»). Quella che sta dentro i confini. Che elabora la propria razionalità dentro la logica segregante delle frontiere. Quella che considera pazzia l’idea di un disarmo unilaterale. Che assimila il riconoscimento e l’assunzione del torto al tradimento. Che identifica la nonviolenza con la resa senza resistenza.
Marco Revelli,     La politica perduta
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Mi piacciono quei politici che non fanno politica.
Žarko Petan, aforismi
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Un politico intelligente rispetta anche le opinioni degli altri, soprattutto quelle che non divergono dalle sue.
Žarko Petan, aforismi
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Nessuno ha mai dubitato del fatto che verità e politica siano in rapporti piuttosto cattivi l’una con l’altra e nessuno, che io sappia, ha mai annoverato la sincerità tra le virtù politiche. Le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista. Perché è così? E che cosa significa ciò, da un lato, per la natura e la dignità dell’ambito politico e, dall’altro lato, per la natura e la dignità della verità e della sincerità? È forse proprio dell’essenza stessa della verità essere impotente e dell’essenza stessa del potere essere ingannevole? E che genere di realtà possiede la verità se essa è priva di potere nell’ambito pubblico, il quale, più di ogni altra sfera della vita umana, garantisce la realtà dell’esistenza agli uomini che nascono e muoiono, cioè a degli esseri i quali sanno che sono apparsi dal non-essere e che dopo un po’ scompariranno di nuovo in esso? Infine, la verità impotente non è forse disprezzabile quanto il potere che non presta ascolto alla verità?
Hannah Arendt: Verità e politica
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Se concepiamo l’azione politica nei termini della categoria mezzi-fine, possiamo anche giungere alla conclusione, soltanto in apparenza paradossale, che la menzogna può servire molto bene a stabilire o a salvaguardare le condizioni della ricerca della verità (così come ha indicato molto tempo fa Hobbes, la cui implacabile logica non manca mai di portare le argomentazioni a quegli estremi in cui la loro assurdità diventa evidente). E le menzogne, dal momento che sono spesso utilizzate come sostituti di mezzi più violenti, tendono a essere considerate degli strumenti relativamente inoffensivi all’interno dell’arsenale dell’azione politica.
Hannah Arendt: Verità e politica
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Nei confronti di chi li governa gli italiani hanno un atteggiamento di disincanto e di distacco, che denota un rapporto molto particolare con la dimensione politica. In tale contesto il gioco dell’idiozia risulta terribilmente efficace poiché, pur generando un’inevitabile disapprovazione, suscita una forma di divertita indulgenza.
“Buffone! Buffone!” gridano spesso i contromanifestanti a Bossi, quando sale sul palco per arringare i “suoi”. L’uso di questa espressione offensiva non è affatto casuale. In effetti, i comportamenti del leader della Lega somigliano a quelli del buffone di corte: Bossi è il giullare che non rispetta niente e nessuno, nemmeno il papa; può dire tutto poiché viene ritenuto non responsabile delle proprie affermazioni e, in genere, i suoi attacchi sono particolarmente irriverenti perché indirizzati verso temi o persone che godono di rispetto.
L’idiota in politica,     Lynda Dematteo
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