FRASI SULLA FUGA


La FUGA è l’irrompere del disordine in una vita scandita da regole che si basano sulla ciclica riproduzione di uno schema preordinato ed accettato. Gianfranco Brevetto
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La fuga serve solo a portare altrove le tue inquietudini.
Massimo Gramellini
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Chi l’avrebbe mai detto che baciando gli occhi di un uomo si possa vedere così lontano – accarezzando le gambe di una ragazzina si possa correre così veloci e fuggire – fuggire da tutto – vedere lontano – venivano dai due più lontani estremi della vita, questo è stupefacente, da pensare che mai si sarebbero sfiorati, se non attraversando da capo a piedi l’universo, e invece nemmeno si erano dovuti cercare, questo è incredibile, e tutto il difficile era stato solo riconoscersi, riconoscersi, una cosa di un attimo, il primo sguardo e già lo sapevano, questo è il meraviglioso –
Alessandro Baricco, Oceanomare
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“Ebbi una specie di collasso psicologico: non riuscivo più a fare le foto. Troppo dolore: che senso ha fare le foto in una situazione del genere? Mi chiedevo. (…) Ero bloccato, volevo tornarmene indietro. Verso le sei e mezza, sempre arzigogolando su torno o non torno, come faccio a fotografare…, mi sono accorto che i miei pensieri stavano prendendo altre direzioni. Solo dopo un bel po’ mi resi conto che cominciavo ad aver fame e a domandarmi che cosa e dove potessi mangiare. Più la fame aumentava e meno ero preoccupato del fatto che lì intorno stessero morendo cinquanta, cento persone al giorno, mi laceravo sempre meno sul significato di fotografare, mentre invece pensavo sempre di più che, semplicemente, avevo fame. Lentamente riemersi e cominciai a riflettere sul fatto che questo forse voleva dire che il mio corpo esisteva, esisteva la mia necessità fisica, più impellente e pervasiva di ogni blocco psicologico e morale. Che potevo fuggire dal dolore, ma non dalla fame, non dal mio corpo. Fai il fotografo? Non è questo che volevi fare? Fallo bene allora. Cerca di mettere nelle tue foto la tua angoscia e la tua pietà. Non pretendere di cambiare il mondo con la tua fragilità. Non fuggire.
Tornai a fare il mio mestiere.
E’ una lezione che non ho più dimenticato”.

FERDINADO SCIANNA, parlando di un suo servizio a Makallé, in Etiopia, piagata da una carestia
Foto: “Ebbi una specie di collasso psicologico: non riuscivo più a fare le foto. Troppo dolore: che senso ha fare le foto in una situazione del genere? Mi chiedevo. (…) Ero bloccato, volevo tornarmene indietro. Verso le sei e mezza, sempre arzigogolando su torno o non torno, come faccio a fotografare…, mi sono accorto che i miei pensieri stavano prendendo altre direzioni. Solo dopo un bel po’ mi resi conto che cominciavo ad aver fame e a domandarmi che cosa e dove potessi mangiare. Più la fame aumentava e meno ero preoccupato del fatto che lì intorno stessero morendo cinquanta, cento persone al giorno, mi laceravo sempre meno sul significato di fotografare, mentre invece pensavo sempre di più che, semplicemente, avevo fame. Lentamente riemersi e cominciai a riflettere sul fatto che questo forse voleva dire che il mio corpo esisteva, esisteva la mia necessità fisica, più impellente e pervasiva di ogni blocco psicologico e morale. Che potevo fuggire dal dolore, ma non dalla fame, non dal mio corpo. Fai il fotografo? Non è questo che volevi fare? Fallo bene allora. Cerca di mettere nelle tue foto la tua angoscia e la tua pietà. Non pretendere di cambiare il mondo con la tua fragilità. Non fuggire. Tornai a fare il mio mestiere. E’ una lezione che non ho più dimenticato”. FERDINADO SCIANNA, parlando di un suo servizio a Makallé, in Etiopia, piagata da una carestia
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Questa è una giornata nella quale mi pesa, come un ingresso in carcere, la monotonia di tutto. Ma la monotonia di tutto non è altro che la monotonia di me stesso. Ciascun volto, anche lo stesso che abbiamo visto ieri, oggi è un altro, perché oggi non è ieri. Ogni giorno è il giorno che è, e non ce n’è mai stato un altro uguale al mondo. L’identità è solo nella nostra anima (l’identità sentita con se stessa, anche se falsa), attraverso la quale tutto si assomiglia e si semplifica. Il mondo è cose staccate e spigoli distinti; ma se siamo miopi, esso è una nebbia insufficiente e continua.
Il mio desiderio è fuggire. Fuggire da ciò che conosco, fuggire da ciò che è mio, fuggire da ciò che amo. Desidero partire: non verso le Indie impossibili o verso le grandi isole a Sud di tutto, ma verso un luogo qualsiasi, villaggio o eremo, che possegga la virtù di non essere questo luogo. Non voglio più vedere questi volti, queste abitudini e questi giorni. Voglio riposarmi, da estraneo, dalla mia organica simulazione. Voglio sentire il sonno che arriva come vita e non come riposo. Una capanna in riva al mare, perfino una grotta sul fianco rugoso di una montagna, mi può dare questo. Purtroppo soltanto la mia volontà non me lo può dare.
Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine
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