Il Presepe
Natale. Guardo il presepe scolpito
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure in legno ed ecco i vecchi
del villaggio e la stalla che risplende
e l’asinello di colore azzurro.
S. Quasimodo
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Dati questi precedenti, il presepe napoletano dell’abbondanza, dell’allegria e della festa è un sogno, un incubo rovesciato. È il desiderio di come si spererebbe fosse fatto quel mondo che negli anni dell’invenzione del presepe napoletano era esattamente il contrario. Il Seicento fu infatti l’epoca della più aspra fame. Questi sentimenti il tempo li ha logorati, ma non distrutti. Natale per i napoletani è l’appuntamento con un sogno.
Domenico Rea, Crescendo napoletano
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‘ dove sta questo presepe illuminato di luna che riflette i lampioni d’inverno con le onde di scogli che hanno il senso del vento con il suo piccolo verde nascosto tra scale e discese vicoli e salite mentre i pastori hanno perso i tratturi tra macchie geografiche di mucca ‘ e bufale bianche di diossina con il latte spezzato tra le zampe spente di belati caduti sulla lana dove sta questo presepe mentre un pezzo del mondo di neve di montagne di muri e di razze bestemmia alla polpa rossa dei pomodori estivi ‘ il male del sole che usa ed ingoia per l’ignavia del mare disceso per la fame degli orchi qui nati che arricchiscono il loro letame di sangue tra gli agrumeti maciullati di succo e di colore dove sta questo presepe sull’asino rimasto solo un pallone ‘ che vola tra folle impaurite che vedono miracoli e magie e gesù dal cuore trafitto negli stop accesi delle auto che investono le strisce delle zebre che fratturano sguardi e sorpassi nel senso trasparente dei respiri dove sta questo presepe ‘ mentre il grido del goal resta il mito ignorante di chi passivo origlia dittature sul cammino che inciampa tra colline di cassonetti immondi e stendini affogati da ingorghi e rimbombi senza note sulle madonne e magi di natale che nuotano a cavallo di barche ‘ sulle dune di sete tra santi e poveri cristi biondi e inchiodati nelle edicole che non sanno nulla del sole scuro di pelle e di deserto dove sta questo presepe nei cumuli di teschi con i buchi degli occhi che sono ombra di minerali antichi a cui pregare ‘ tra pupazzi di fuoco in purgatori che si fanno speranza nella strada desiderio sulla fame delle donne del mondo pio e padre venduto ovunque usato di desideri e paure scolpite nelle statue degli dei ‘ senza che mai si speri nell’astratto che prega solo a volte perché l’amore si espanda dove sta questo presepe di ultras sempre uguali nel tempo tatuati di violenza e di comando con la maglia di madre di casa di patria ‘ che dimentica il mondo mentre le moto investono le leggi con l’aggressione dei caschi su volti nascosti d’assassini O l’insipienza di capelli gellati caduti sul margine negli occhi d’acqua della dolcezza dei coma ‘ dove sta questo presepe tra i penati sull’uscio di una volta e i piedi scalzi che corrono fuggendo insieme al palio rosso immedagliato e bianco d’una madonna vergine e azzurra sotto l’arco vergine e nera sopra il monte vergine e immacolata tra le rose di maggio ‘comprate tra ricordi e dolore speranze e protezioni sulle paure dei cuori e delle menti dove sta questo presepe con uomini e bambini coperti ora dalla fuga di scarpe dalla tammorra che sparge la voce dell’elemosina annunciata ‘della rabbia della paura organizzata in droghe di camorra sul sangue del collo del santo di gennaro giocato in liquide altalene di mistero dove sta questo presepe tra piatti tamburi e trombe di una banda che ha il ricordo dei paesi fatti di muri a secco ed ha perso la memoria dei rami degli ulivi […]
Ariele d’Ambrosio , Pulcinella stanco seduto sul marciapiede del mondo
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L’alba sul mare tardava. Era inverno, mancava poco a Natale.
Pensando a Natale Marco ebbe un brivido. Il primo Natale loro due da soli, senza la madre. Chissà se poteva fare ugualmente il presepe in cucina e il pino in sala. Chissà se il padre gliel’avrebbe permesso. Magari avrebbe voluto che fosse un giorno come un altro, simile a quelle domeniche in cui non salivano piú alla messa e lui se ne andava a lavorare come nei giorni qualsiasi.
– Allunga un po’ il passo, dài…
Marco s’affrettò, cercando di non inspirare troppa aria, sapeva ancora tanto di notte e terra umida. Per non pensare al cinghiale si sforzò di ricordare dove fosse la scatola del presepe.
Era la madre a custodirla. Ogni anno era lei a riporre nel cotone il bambino, il bue e l’asinello, ad avvolgere nella paglia i pastori e i re magi, a proteggere le piccole palle di vetro per l’albero e il puntale con la stella.
Era lei che a metà dicembre portava la scatola in cucina e ripuliva le piastrelle vicino al piano del putagè che avrebbe ospitato la piccola processione di pastori e pecorelle verso la capanna di legno.
Quest’anno no. Non sarebbe piú stato cosí. Marco provò a pensare come sarebbe stato.
– Fai attenzione a dove metti i piedi.
Nico Orengo, L’allodola e il cinghiale
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Belmonte schioccò la lingua.
“Non mi chiedete perché me ne approfitto?” riprese il duca.
“Sono tutto orecchi.”
“Siete il solo acquirente che vorrei, l’unico che si merita i miei pastori. E poi questo presepe ve lo siete già comprato con gli occhi e con il cuore anni fa, Eminenza, quando veniste a benedirlo la prima volta; se lo volete è tutto vostro, ora. Pagatemi e portatevelo via. Ve lo rimontate dove volete, a casa vostra o al palazzo vescovile, come vi pare. Oppure, date retta a me, lo nascondete per bene, lo mandate in campagna, per proteggerlo dalle bombe. I pastori sono delicatissimi, si rompono con facilità e la seta dei vestiti si taglia con lo sguardo. Perdere tutta questa bellezza sarebbe un sacrilegio, uno dei tanti che si consumano ogni giorno. Sapete come si dice, no? Il presepe è una pagina di Vangelo spiegata ai napoletani. Se è così, se di Vangelo si tratta, tocca a voi rimediare. Avete denaro, conoscenze, influenza. Vi sono piovute sulla testa un certo numero di benedizioni, perdonatemi se mi permetto di ricordarvelo. Che ne dite? La mia offerta vi sembra interessante?”
Il cardinale era seduto su una poltrona di velluto verde, rigido e diritto, senza nemmeno sfiorare lo schienale. “Posso prestarvi il denaro,” disse, “senza che mi vendiate il presepe. Sono un uomo ricco.”
“Niente carità, Eminenza, e niente debolezze. Vi offro uno scambio, alla pari. Anzi, sulla mia offerta ci metto sopra anche il segreto che ho custodito meglio. Si chiama Giovanni Scotti. Senza di lui, non provateci nemmeno a montare un presepe. Scordatevi di vestire i pastori o di riuscire a sistemarli come si deve. Fu mia moglie a scoprirne l’esistenza, per caso. È il marito della nostra stiratrice, figuratevi. La sua abilità più evidente è quella di restauratore, ma le sue competenze vanno molto al di là. Giovanni Scotti non parla con nessuno, parla solo con i pastori. Io credo che sappia chi sono stati. Sapete meglio di me che sugli autori del presepe napoletano non si hanno molte notizie, a parte i grandi scultori che hanno lasciato opere firmate o di attribuzione certa. E immaginerete anche voi che molte di queste fisionomie sono reali. Queste sono le facce di duecento anni fa. Guardate questo storpio con le mani e i piedi bendati, potete immaginare che non abbia mai vissuto?”
Benedetta Cibrario, Lo scurnuso
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Le anime belle, le figurine del presepe, le persone oneste… Ne ho conosciute tante, erano tutte come te. Facevano le tue domande… E con voi, il mondo diventa più fantasioso, più colorato… Ma non cambia mai!
Botero
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