FRASI SUI VIDEOGIOCHI

Dal pilota d’aereo che usa il simulatore ai medici che possono simulare l’artroscopia… La caratteristica del gioco è la reversibilità, l’assenza di conseguenze. Nel mondo moderno la separazione tra quest’ambito e la “realtà” è sempre più labile. Quindi non conta tanto quanto sia diffuso il videogioco – che è diffusissimo -, conta il fatto che sia un “cavallo di Troia” della cultura della simulazione. Insomma, il gioco è diventato una cosa seria, o almeno qualcosa con cui possiamo fare cose serie
Gianfranco Pecchinenda
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La tecnologia cambia in fretta. Adesso ci sono anche giochi elettronici in cui si usa tutto il corpo e si suda. Alla faccia di chi diceva che il videogioco ci avrebbe schiavizzati sul divano. Però il rischio che ci si abitui ad apprezzare solo ciò che gratifica subito, l’“effetto gratta e vinci” potremmo chiamarlo, beh, quello c’è. E se una cosa non ci gratifica subito, cambiamo oggetto e il nostro livello d’attenzione crolla
Gianfranco Pecchinenda
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Mai giocare ai videogame con i ragazzini, a meno che ti piaccia essere umiliato.

Arthur Bloch
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La cultura del videogioco è una cosa importante da tenere in vita nei film perché siamo in una nuova era. L’idea che i bambini possono giocare con i videogiochi come Grand Theft Auto o qualsiasi altro videogioco è sorprendente. I videogiochi sono un passo avanti a un intero altro universo virtuale.

Vin Diesel
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I Videogiochi essi possono essere considerati dei veri e propri ‘cavalli di Troia’, perché, nascosti all’interno di questi strumenti tecnologici utili per lavorare, elaborare dati, produrre ricchezza, si celano almeno altrettanto ’strumenti’ per pensare, divertirsi, produrre idee e rappresentazioni della realtà e di noi stessi. I videogame sono una sorta di finestra aperta su una nuova specie di rapporto con le macchine, che è caratteristica della nascente cultura del computer e della simulazione. Il particolare rapporto che i giocatori instaurano con i videogame possiede degli elementi in comune con il genere di interazione che si ha con altri tipi di computer: la loro capacità di presa, il loro fascino quasi ipnotico sono il potere del computer. Le esperienze dei giocatori di videogiochi ci possono aiutare a comprendere questo potere e anche qualcosa di più. Al cuore della cultura del computer c’è l’idea di mondi inventati, progettati, costruiti, retti da regole ben determinate. Comprendere la logica dei videogame significa comprendere la cultura del computer come una cultura di regole e -soprattutto- di simulazione
Gianfranco Pecchinenda, Videogiochi e cultura della simulazione. La nascita dell’homo game
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A tutti è capitato di sorprendersi a mangiucchiare salatini, noccioline o anacardi. Tra amici, con un bicchiere in mano, macchinalmente peschiamo nelle ciotole disposte sul tavolino che troneggia. Improvvisamente avvertiamo una strana sensazione, non di vero e proprio disgusto, ma di «troppo pieno». Dobbiamo senz’altro fermarci, rischiamo di rovinarci l’appetito. Eppure seguitiamo a spizzicare, non resistiamo, continuiamo nostro malgrado, per puro piacere.

Chi ha provato i videogiochi conosce la difficoltà di porsi un limite. Non basta sentire che il tempo scorre, si rimane incollati allo schermo senza riuscire a prestare ascolto alla voce della ragione, senza smettere, pur consapevoli che sarebbe ora di farlo. Abbiamo tante cose da sbrigare, ma è troppo divertente…

Tutto nasce dal piacere e per il gusto del piacere. Poi subentra la difficoltà: fermarsi diventa sempre più arduo. Chi non ha avuto una simile sensazione, cercata e ripetuta, che lentamente scivola nell’abitudine? Un’abitudine che finisce per essere invadente quando svanisce il piacere iniziale. È questo il punto di partenza di alcuni comportamenti di dipendenza, talvolta banali e quotidiani, che può segnare l’inizio di un vero e proprio processo di dipendenza: adottare un determinato comportamento o proseguire con una relazione affettiva più a lungo di quanto si fosse immaginato, senza riuscire a fermarsi.
Marc Valleur, Sesso, passione e videogiochi
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La passione del gioco, che può diventare compulsiva e invadere l’esistenza di un individuo, deve indurci a diffidare dei videogiochi e a soppesare il rischio dei giovani di rimanere imprigionati in un universo virtuale?
Marc Valleur, Sesso, passione e videogiochi
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Lo stile di comunicazione e apprendimento dei nativi è ludico, fortemente orientato all’espressione di sé, alla personalizzazione e alla condivisione costante di informazione (sharing) con i pari (peering).

Per esempio, per quanto riguarda i videogiochi (su consolle, telefonino e notebook), alcuni di questi non hanno nulla a che fare con l’apprendimento poiché si limitano ad attivare funzioni neurali di tipo percettivo-motorio (azioni automatiche e di stimolo-risposta) che nel lungo periodo non aiutano le capacità di apprendimento. Altri video-giochi, quelli di strategia e costruzione di mondi possibili quali SimCity – il cui fine è costruire e amministrare una città –, sviluppano l’attenzione selettiva, la “riserva cognitiva” e la capacità di apprendere una modalità nuova. “Videogiocare” ai Sims o a SimCity implica una costante “attenzione selettiva”, la ricerca incessante di soluzioni a problemi. Implica, cioè, lo sperimentare ruoli differenti all’interno del contesto del gioco e quindi rappresenta una modalità di attivazione di apprendimenti ed esperienze anche sociali: ormai si gioca on-line con altri “nativi umani” e non solo con o contro le macchine.

I videogiochi sono solo la punta di un iceberg. I nativi hanno a disposizione una grande quantità di strumenti digitali di apprendimento e comunicazione formativa e sociale. Molti strumenti hardware: notebook, tablet (iPad), consolle connesse a Internet (Wii, PlayStation 3), eBook (Kindle), iPod, smartphone; e molte piattaforme software 2.0: i social network (Facebook e MySpace, Habbo e Netlog), MSN Messenger, i blog, YouTube, Wikipedia e i wiki. Uno dei comportamenti di apprendimento più originali dei nativi è il multitasking: studiano mentre ascoltano musica, e nello stesso tempo si mantengono in contatto con gli amici attraverso MSN, mentre il televisore è acceso con il suo sottofondo di immagini e parole. Il problema del sovraccarico cognitivo è risolto attraverso il continuo passaggio da un media a un altro, tramite uno “zapping” consapevole tra le differenti fonti di apprendimento e di comunicazione. I nativi digitali, infatti, stanno imparando a “navigare” tra i media in maniera non lineare e creativa. Noi adulti cerchiamo sempre un “manuale” o abbiamo bisogno di strumenti per inquadrare concettualmente un oggetto di studio prima di dedicarci a esso.

I nativi no! Apprendono per esperienza e per approssimazioni successive. Non è detto che sia un dato positivo, ma è un fatto.
Paolo Ferri, Nativi digitali
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“Il videogame o gioco elettronico è sicuramente una delle novità culturale più rilevanti nel settore svago e spasso del bar: la sua comparsa è pari, per importanza, a quella del Biliardo, del juke-Box e del Flipper. Ma il suo inserimento nel tessuto ludico-baristico è stato più traumatico e la frattura epistemologica più netta.” Così dice il famoso filosofo da bar René Tombolini, morto l’anno scorso in una rissa dopo una morra.

“Il videogame,” prosegue il Tombolini, “accentua la tendenza prevalente di questa fine secolo, e cioè lo slittamento dell’offerta di variabili tecno-aleatorie verso aree giovanili con progressiva emarginazione e musealizzazione del “ludus” senile.”

In parole povere, si pensa sempre di più a giochi per giovani, che richiedono riflessi, lucidità e dominio delle lingue, mentre agli anziani vengono riproposte sempre le vetuste bocce, stecche e carte. Se il biliardo, infatti, non ha limiti di età, se il juke-box ha un apposito settore revival, e se anche un anziano può accostarsi a un flipper una volta spiegatagli la differenza tra tilt e ictus, il videogame comporta “un gap generazionale-neurologico non colmabile con un parziale adattamento al segmento simbolico”. (Citiamo sempre il Tombolini.)

Stefano Benni, Bar sport duemila

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