FRASI di Henri Louis Bergson

Le opinioni alle quali teniamo di più sono quelle di cui più difficilmente potremmo rendere conto.

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Pensa da uomo d’azione e agisci da uomo di pensiero.

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Un problema ben posto è già risolto
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Quel che si trova nell’effetto era già nella causa
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L’uomo dovrebbe mettere altrettanto ardore nel semplificare la sua vita quanto ce ne mette a complicarla.
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Il riso castiga certi difetti pressappoco come la malattia castiga certi eccessi.
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L’umanità geme, per metà schiacciata sotto il peso dei progressi che ha fatto.
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Il cristianesimo trasfigura tutto ciò che tocca rendendolo semplicemente cristiano.
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Il presente non contiene altro che il passato; così, ciò che si scopre nell’effetto si trovava già nella causa.
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Un essere non si sente obbligato se non quando è libero, e ciascuna obbligazione, prezzo a parte, implica la libertà
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L’occhio vede solo ciò che la mente è preparata a comprendere.
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Gli strumenti della mente diventano fardelli quando l’ambiente che li ha resi necessari non esiste più.
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L’esperienza ci mette in presenza del divenire, ecco la realtà essenziale.
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Le opinioni alle quali teniamo di più sono quelle di cui più difficilmente potremmo rendere conto
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Ciò che è sempre mancato di più alla filosofia, è la precisione
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L’intelligenza, considerata in ciò che sembra esserne il significato originario, è la facoltà di fabbricare oggetti artificiali, in particolare utensili atti a fare altri utensili, e di variarne la fabbricazione indefinitamente.
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Rifiutare la coscienza a un animale perché non ha cervello sarebbe così assurdo come dichiararlo incapace di nutrirsi perché non ha stomaco

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Del resto questo è ciò che la coscienza constata senza fatica tutte le volte che, per analizzare la memoria, segue il movimento stesso della memoria che lavora. Si tratta di ritrovare un ricordo, di evocare un periodo della nostra storia? Noi abbiamo coscienza di un atto sui generis attraverso il quale ci stacchiamo dal presente per ricollocarci dapprima nel passato in generale, e poi in una certa regione di esso: […]A poco a poco esso appare come una nebulosità che potrebbe condensarsi; da virtuale passa allo stato attuale; e man mano che i suoi contorni si delineano e la sua superficie si colora, esso tende a imitare la percezione. Ma con le sue profonde radici rimane attaccato al passato, e se, una volta realizzato, non risentisse della sua virtualità originaria, se non fosse contemporaneamente uno stato presente e qualcosa che spezza il presente, noi non lo riconosceremmo mai come ricordo.
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[…] tra il passato e il presente c’è ben altro che una semplice differenza di grado. Il mio presente è ciò che mi interessa, ciò che vive per me, e, in breve, ciò che mi provoca all’azione, mentre il mio passato è essenzialmente impotente. […]Cos’è per me il momento presente? La caratteristica del tempo è di scorrere; il tempo già trascorso è il passato, e chiamiamo presente l’istante in cui scorre. Ma qui non si può trattare di un istante matematico. […] La materia, in quanto estesa nello spazio, deve essere definita, a nostro avviso, un presente che ricomincia incessantemente, e, inversamente, il nostro presente è la materialità stessa della nostra esistenza, cioè un insieme di sensazioni e di movimenti, e nient’altro che questo. E questo insieme è determinato, unico per ciascun momento della durata, proprio perché sensazioni e movimenti occupano i luoghi dello spazio e perché, nello stesso luogo, non ci possono essere più cose contemporaneamente.
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Io constato anzitutto che passo di stato in stato. Ho caldo ed ho freddo, sono lieto o triste, lavoro o non faccio nulla, guardo ciò che mi circonda o penso ad altro. Sensazioni, sentimenti, volizioni, rappresentazioni: ecco le modificazioni tra cui si divide la mia esistenza e che di volta in volta la colorano di sé. Io cambio, dunque, incessantemente. Ma non basta dir questo: il cambiamento è più radicale di quanto non sembri a prima vista. Di ciascuno dei miei stati psichici parlo, infatti, come se esso costituisse un blocco: dico sì che cambio, ma concepisco il cambiamento come un passaggio da uno stato al successivo e amo credere che ogni stato, considerato per se stesso, rimanga immutato per tutto il tempo durante il quale si produce. Eppure, un piccolo sforzo di attenzione basterebbe a rivelarmi che non c’è affezione, rappresentazione o volizione che non si modifichi di continuo: se uno stato di coscienza cessasse di cambiare, la sua durata cesserebbe di fluire. Il mio stato d’animo, avanzando sulla via del tempo, si arricchisce continuamente della propria durata: forma, per così dire, valanga con se medesimo. Se la nostra esistenza fosse costituita di stati separati, di cui un Io impassibile dovesse far la sintesi, non ci sarebbe per noi durata: poiché un Io che non muti non si svolge, come non si svolge uno stato psichico che resti identico a se stesso finchè non venga sostituito dallo stato successivo. Infatti, la nostra durata non è il susseguirsi di un istante ad un altro istante: in tal caso esisterebbe solo il presente, il passato non si perpetuerebbe nel presente e non ci sarebbe evoluzione né durata concreta. La durata è l’incessante progredire del passato che intacca l’avvenire e che, progredendo, si accresce. E poichè si accresce continuamente, il passato si conserva indefinitamente. La memoria non è la facoltà di classificar ricordi in un cassetto o di scriverli su di un registro. Non c’è registro, non c’è cassetto; anzi, a rigor di termini, non si può parlare di essa come di una “facoltà”: giacchè una facoltà funziona in modo intermittente, quando vuole o quando può, mentre l’accumularsi del passato su se stesso continua senza tregua. In realtà, il passato si conserva da se stesso, automaticamente. Esso ci segue, tutt’intero, in ogni momento: ciò che abbiamo sentito, pensato, voluto sin dalla prima infanzia è là, chino sul presente che esso sta per assorbire in sé, incalzante alla porta della coscienza, che vorrebbe lasciarlo fuori. La funzione del meccanismo cerebrale è appunto quella di ricacciare la massima parte del passato nell’incosciente per introdurre nella coscienza solo ciò che può illuminare la situazione attuale, agevolare l’azione che si prepara, compiere un lavoro utile. Talvolta qualche ricordo non necessario riesce a passar di contrabbando per la porta socchiusa; e questi messaggeri dell’inconscio ci avvertono del carico che trasciniamo dietro a noi senza averne consapevolezza. Ma, se anche non ne avessimo chiara coscienza, sentiremmo vagamente che il passato è sempre presente in noi. Che cosa siamo, infatti, che cos’è il nostro carattere se non la sintesi della storia da noi vissuta sin dalla nascita, prima anzi di essa, poiché portiamo con noi disposizioni prenatali? Certo noi pensiamo solo con una piccola parte del nostro passato; ma desideriamo, vogliamo, agiamo con tutto il nostro passato, comprese le nostre tendenze congenite. […] Il mio stato psichico attuale si spiega con ciò che c’era in me e agiva su di me: analizzandolo, non troverò in esso altri elementi. Ma nemmeno un’intelligenza sovrumana avrebbe potuto prevedere la forma semplice e indivisibile, che dà a tali elementi, affatto astratti, la loro organizzazione concreta: poiché prevedere significa proiettare nel futuro ciò che si è percepito in passato oppure raccogliere in un composto nuovo, diversamente ordinato, elementi già noti. Ma ciò che non è mai stato percepito e che è, insieme, semplice, è necessariamente imprevedibile. Tale è, precisamente, ogni nostro stato di coscienza, considerato come un momento di una storia in via di svolgimento: è semplice, e non può esser già stato percepito, poiché concentra nella sua unità indivisibile tutto ciò che è stato percepito più quello che il presente vi aggiunge. E’ un momento originale di una storia non meno originale.

Bergson, L’evoluzione creatrice

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