FRASI DI Don Andrea Gallo

So di essere un personaggio conosciuto, e qualche volta le lusinghe del successo e del potere arrivano anche nei meandri più sconosciuti e lontani della mia coscienza. Arrivano anche a me: «Guarda questo,» potrebbe giustamente dire qualcuno «sta con i poveri e, a causa loro, va in tv, scrive libri e lo intervistano in continuazione». So che è un rischio. Ne ho anche il terrore, e mi sento male al pensiero che la mia notorietà potrebbe ferire la sensibilità anche di un solo povero. Tuttavia corro il rischio, perché non posso tacere. Anche e soprattutto nella mia chiesa. Io non taccio, parlo per i miei poveri, per l’umanità sofferente dimenticata dall’indifferenza.
DON ANDREA GALLO
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Mai finora ci siamo ritrovati con animocosì turbato come oggi. Siamo di fronte, nel nostro bel Paese, a una caduta senza precedenti della democrazia e dell’etica pubblica. La mia coscienza di uomo e di prete che intende coniugare fede e impegno civile è in difficoltà a prendere la parola. Dov’è la fede? Nelle crociate moralistiche? Dov’è la politica? Nei palazzi? Dove sono i partiti? Sempre più lontani. È una vera eutanasia della democrazia, siamo tutti corresponsabili, anche le istituzioni religiose»
Don Gallo, sono venuto per servire
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Vorrei che ogni mia azione caritatevole, tradotta in solidarietà, potesse produrre dei diritti, ma non a lunghissimo termine! Riconosco gli aspetti positivi della solidarietà assistenziale, ma mi sento peccatore per non essere riuscito, in tanti anni, a cambiare davvero le cose.
Ho visto che tante persone negli anni passati hanno lottato per i diritti – per ottenere lo Statuto dei lavoratori, per la parità uomo-donna –, ma ho notato che in questi ultimi tempi la nostra democrazia è entrata in una sorta di eutanasia. Che fine ha fatto l’articolo 3 della Costituzione, che sostiene che la Repubblica deve rimuovere qualunque ostacolo per favorire l’uguaglianza di tutti i cittadini? Lo voglio riportare per intero: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese».

In questo senso mi sento inadeguato e iper-garantito. Svolgo il mio servizio con i miei ragazzi della Comunità San Benedetto e da anni lavoriamo notte e giorno per la mia città, Genova, e credo che la generosità e l’onestà del nostro agire si vedano, e abbia anche la comprensione e l’apprezzamento di gran parte della popolazione.
Se scorressi l’elenco telefonico, non solo a Genova, ma in qualunque parte d’Italia ormai, e dicessi: «Pronto, sono don Gallo, mi invitate a cena stasera?», avrei una marea di inviti. Ecco perché, nonostante tutto, provo un senso di vergogna quando incontro i poveri e i peccatori. Recentemente ho rifiutato una sera di andare in un ristorante, un grande ristorante, perché già si sapeva in giro che arrivava don Gallo. E io, in quel momento, mi sono sentito un peccatore. Uno che va a cena dai garantiti per vanità. Mi sono sentito un peccatore addirittura duplice: infatti, pur non avendo nessun merito e nessuna carica, mi ritrovo sia iper-garantito sia un po’ famoso per effetto dei mass media e dell’opinione pubblica. E come faccio a non vergognarmi di fronte a questi miei fratelli che, a fatica, la sera riescono a rimediare una tazza di brodo caldo? Cosa dico a un ragazzo precario, a un disoccupato?
DON ANDREA GALLO
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Quelli che si credono “a posto” hanno un gran brutto vizio: quello di guardare sempre in casa degli altri. Dicono: «I peccatori sono gli altri», e non si sentono mai toccati dal discorso di Gesù. Che ipocrisia!
Io mi sento, ancora oggi a 84 anni, un peccatore. Mi sento sempre inadeguato, perché sono un garantito. È vero: lavoro per i poveri, i precari, i senza-casa, i rom, gli emarginati, i migranti, però sono un garantito rispetto all’umanità dolente che bussa ogni giorno alla mia porta e cerca aiuto. Sono un garantito rispetto a loro. Sono un peccatore-garantito, perché, se esco di casa e incontro un povero, allora gli do l’elemosina e con ciò, forse, credo di salvare la mia anima, di mettere a tacere la mia coscienza.
DON ANDREA GALLO

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“A me non interessa chiedervi se siete o non siete credenti, vi chiedo però se siete credibili. È questo che un giorno Dio chiederà a ciascuno di noi”
don Andrea Gallo
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Approfitto di alcuni strumenti per dire apertamente ai potenti di turno che dobbiamo reagire a questa “delinquenza legale” che sta ammorbando la nostra Europa. Tra l’altro, i contratti di tutti i libri che firmo sono intestati alla Comunità San Benedetto e tutti i diritti d’autore sono a favore della comunità, che ovviamente ha molte spese, perché le iniziative contro la povertà e l’emarginazione necessitano di risorse.
Le conferenze, i libri e le trasmissioni televisive mi danno la possibilità di parlare, di far capire alcune cose e, a volte, è più importante far passare alcuni concetti di legalità e giustizia che non dare l’elemosina al primo mendicante che si incontra per strada. Mi trovo a casa nella mia chiesa, e quindi brontolo quando c’è da brontolare. E provoco, se c’è da provocare. Poi arriva il momento in cui spezzo il pane con i miei “randagi” di strada. È il momento più bello, che mi fa capire quanto la Chiesa sia davvero santa nei suoi testimoni sconosciuti e nascosti agli occhi del mondo.
DON ANDREA GALLO
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Ancora giovane, fui invitato alla Scala di Milano.
Che splendore, quale musica! Avvolto in quell’atmosfera, per la prima volta mi venne da pensare: ma questo è un angolo del Paradiso! Angeli, arcangeli, cherubini, musica celestiale…
Lasciatemi immaginare l’accoglienza della morte di Sergio con questa musica celestiale.
Si racconta che gli uomini si lamentassero con Dio: «Hai dato le ali a tante creature e ti sei dimenticato degli esseri umani!». «Ma no» disse Dio.
«Alle creature umane ho donato la musica per poter volare, alzarsi, emozionarsi.»

Non so se mi riuscirà, dinanzi al silenzio della morte di Sergio, di meditare brevemente con voi. La Chiesa primitiva definiva il vero uomo «colui che non ha paura della morte».
Papa Giovanni disse alla fine: «Mi rallegro perché mi è stato detto: “Andremo nella dimora del Signore”».
«Laudato si’ mi’ signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare.» Francesco nel Cantico delle Creature aggiunse quest’ultima strofa.

Nel momento in cui sparisce la fede (se uno ce l’ha), scompare la speranza e ogni intermediario, ogni comunicazione. Don Bosco, nella sua pedagogia, aveva inserito, ogni mese, l’esercizio della buona morte. Resta, questa è la mia personalissima riflessione, soltanto un immenso amore misterioso e profondo, che ci avvolge tutti, credenti e non credenti, tutti figli e figlie inondati da un incessante flusso dello spirito agapico dell’Amore universale.

Intanto, la morte di Sergio è tacere e riposarsi in pace. È emblematica la sequenza del requiem che inizia la liturgia funebre: Dies irae, dies illa solvet saeclum in favilla (il giorno dell’ira, quel giorno che dissolverà il mondo terreno in cenere). La morte è tornare alla terra nostra madre. Nell’immagine dell’amore, Adamo vuol dire terra.

Vi invito ad ascoltare sant’Agostino: «Quelli che ci hanno lasciato non sono assenti, sono invisibili, tengono i loro occhi pieni di gloria fissi nei nostri pieni di lacrime».
La morte, ci dicono i teologi, è trovarsi davanti al Giudizio. Ma quale Giudizio e di chi? Ci troveremo davanti a chi ha già perdonato: l’Amore.
I nostri cari defunti, se ci fermiamo un attimo, insegnano a tutti noi a continuare a vivere nell’amore degli uomini, e nell’amore alla vita, alla verità, alla libertà, all’uguaglianza universale.

Non è facile imparare a morire, non è facile obbedire fino alla morte e quindi fare obbedienza alla morte, non è facile fare di essa un dono d’amore per la famiglia, per gli amici.

«Non c’è amore più grande di chi dà la vita per gli amici» ha detto Gesù la sera prima della
Passione. Un’affermazione che è sempre piaciuta ai miei vecchi amici atei, anarchici. Ma la morte resta un evento difficile, un evento doloroso. Qoelet, il sapiente predicatore che tenta una meditazione sulla vita e sulla morte, non ha risposte né certezze. Tuttavia intravede nel cuore profondo dell’uomo quel desiderio di eternità.
Gesù, dopo secoli, non parla di immortalità, ma di vita nuova, cieli nuovi, terre nuove.
Ci invia un messaggio: miei cari, vi lascio in un mondo stordito dal fascino dell’apparenza, in una cultura che conosce il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuno, ho sempre cercato di essere per voi uomo, padre, nonno, fratello, volevo amarvi tanto, a uno a uno, ce l’ho messa tutta.

Vi ho tenuto nascosta una cosa che ora non posso più nascondervi: debbo proprio partire.
Addio.
DON ANDREA GALLO, LA MORTE COME DONO

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