A chi lo vede grande e grosso e si spaventa.
a chi lo vede solitario e riservato e si allontana.
a chi non lo conosce bene e meschinamente lo giudica.
a chi dovrebbe rispettarlo e invece lo maltratta.
io dico una sola cosa. e’ Un padre dal cuore
INFINITO.
a chi lo apprezza per la sua umiltà
a chi lo stima per la sua lealtà
a chi sa andare oltre l’apparenza per arrivare al
profondo
IO dico “bravo” hai capito la vera essenza
dell’esistenza umana.
E a te Papà dico una sola cosa: mi sento fortunata.
Il mio amore per tè è incondizionato e forte.
Tu sei la roccia su cui la mia vita si fonda, sei
l’ombra che mi dà rifugio e ristoro, sei un’ancora di
salvezza, un porto sicuro in cui fermarmi e riposare
quando ne ho bisogno.
In te trovo l’origine del mio spirito creativo,
l’esempio di fermezza quiete ed educazione da cui
prende le basi il mio essere donna oggi.
Tanti auguri allora grande uomo.
e com’è bello facebook, mi permette di dirti
pubblicamente e in maiuscolo
TI VOGLIO UN MONDO DI BENE
Anna Pianura
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Per quanto severo sia un padre nel giudicare suo figlio, non sarà mai tanto severo come un figlio che giudica il padre.
Enrique Jardiel Poncela
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Padre vinto nel sonno
oscuro e lontano,
il bambino ti sveglia con la mano.
Ancora nato nel tuo sogno chiede
ricordo dell’età che ti correva
giovane agli occhi,
mesto al sollievo della sua sembianza
non vuole che tu creda
la morte buia nell’eternità.
Era così soave il cielo intorno,
a respiro e a cadenza della sera
tu mi portavi in braccio al sonno
fresco di primavera.
Forse è questo la morte, un ricordare
l’ultima voce che ci spense il giorno.
Alfonso Gatto
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Il silenzio di mio padre immerso nelle sue letture: poltrona, occhiali, vecchio pullover di lana, cono di luce, fumo della pipa, viavai del medio e dell’anulare sulla sua tempia, gambe accavallate, leggero oscillare del piede destro, l’nterpunzione di una pagina voltata…
Non era mai tanto presente come quando ci abbandonava in quel silenzio.
Daniel Pennac
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“Masticate come si deve’” diceva il padre. E masticavano bene, e facevano ogni giorno una passeggiata di due ore e si lavavano con acqua fredda. Diventarono tutti uomini infelici e mediocri.
Anton Cechov
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“E se perdo?”chiesi.
“Avrai imparato a lottare.”Era mio padre questo.
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“[…] l’hai vista partorire. Ti ha dato un piccolo uomo, piccolo come eri tu. E tu hai pianto perché potevi ricominciare tutto da capo con un altro te stesso vergine. E avresti fatto meglio. Perché eri di un’altra generazione, più sensibile. Avevi nelle ossa le cazzate dei tuoi genitori. E non le avresti ripetute. Ci puoi giurare, figlio mio, che non le rifarò. Sono i pensieri di ogni ragazzo che diventa padre, ma in quel momento sono solo i tuoi pensieri. ”
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“voglio essere quello che mio padre non è mai stato perchè mio figlio sia quello che io non sarò mai!”
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Ogni biografia, o quasi, comincia con il nome del padre. Il padre è quello che, almeno secondo la Bibbia, emerge dal suo eterno far niente, in sei giorni combina i guai e le meraviglie che tutti sappiamo. E poi passa il resto del tempo ad arrabbiarsi con gli uomini (di più con le donne, ma mi riferivo agli esseri umani in generale). Non solo: sparisce tra le nubi quando c’è davvero bisogno di lui («Padre, padre, perché mi hai abbandonato?!»), salvo poi rifarsi vivo per giudicare ciò che è stato fatto in sua assenza. E infliggere punizioni un po’ a casaccio.
Eppure, in quasi tutte le culture, è il padrone. E l’artefice. Perfino gli antichi greci, che ereditavano religioni ben più benevole verso il potere femminile e la maternità, misero in bocca ad Apollo queste parole: «Non la madre, non lei produce il suo frutto: “figlio” è il suo nome. Solo, nutre il gonfio maturo del seme. Lui procrea, che d’impeto prende. Lei come ospite all’ospite: veglia sul giovane boccio, se un dio non lo schianti». L’affermazione è tratta dalla tragedia di Eschilo, Eumenidi. Ma il colmo è che Apollo così giustifica la sua affermazione: «Ti offro la prova di questo argomento: padre senza madre è possibile. Una testimonianza è qui vicina, presente: Atena, la figlia di Zeus, che non crebbe nel cavo ombroso di un seno». E Atena non fa un plissé, anzi rincara la dose, assolvendo il matricida Oreste: «Non c’è madre che m’abbia dato la vita. Il mio favore va sempre alla parte maschile – purché non si tratti di nozze – dal fondo del cuore».
Ora, sarà più che probabile che in un futuro non ci sarà bisogno neanche di un utero materno e che la nascita di un bambino scorrerà tra dna digitalizzati e incubatrici in biomateriali, ma, a oggi, del padre si è imparato più o meno a fare a meno (e spesso con sollievo). Della madre proprio no. Se sia un vantaggio, magari, lo giudicheremo alla fine. Certo già Atena dice peste e corna del matrimonio.
E di una cosa possiamo essere certi: basta scorrere un qualsiasi bigino della religione e della storia e la prima cosa che salta all’occhio è che, in barba a tanto onore, il padre, quello vero, non c’è. Tant’è che, non trovando di meglio, sia gli antichi greci, favoleggiando su Dioniso e Alessandro Magno, sia gli indù, con Yudisthira, sia i cristiani, con Gesù, piazzarono il padre in cielo, invisibile ai più. E misero saldamente la madre sulla Terra.
Dopodiché cancellarono le madri dagli altari e dalla storia.
Valeria Palumbo: Geni di mamma
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Quando Dio creò il papà cominciò disegnando una sagoma piuttosto robusta e alta.
Una angelo che svolazzava sbirciò sul foglio e si fermò incuriosito.
Dio si girò e l’angelo “scoperto” arrossendo gli chiese
“Cosa stai disegnando?”.
Dio rispose “Questo è un grande progetto”.
L’angelo annuì e chiese “Che nome gli hai dato?”.
“L’ho chiamato papà” rispose Dio continuando a disegnare lo schizzo del papà sul foglio.
“Papà….” pronunciò l’angelo “E a cosa servirebbe un papà?” chiese l’angioletto accarezzandosi le piume di un’ala.
“Un papà” spiegò Dio “Serve per dare aiuto ai propri figli, saprà incoraggiarli nei momenti difficili, saprà coccolarli quando si sentono tristi, giocherà con loro quando tornerà dal lavoro, saprà educarli insegnando cosa è giusto e cosa no.”.
Dio lavorò tutta la notte dando al padre una voce ferma e autorevole, e disegnò ad uno ad uno ogni lineamento.
L’angelo che si era addormentato accanto a Dio, si svegliò di soprassalto e girandosi vide Dio che ancora stava disegnando.
“Stai ancora lavorando al progetto del papà?” chiese curioso.
“Sì” rispose Dio con voce dolce e calma “Richiede tempo”.
L’angelo sbirciò ancora una volta sul foglio e disse “Ma non ti sembra troppo grosso questo papà se poi i bambini li hai fatti così piccoli?”
Dio abbozzando un sorriso rispose: “E’ della grandezza giusta per farli sentire protetti e incutere quel po’ di timore perchè non se ne approfittino troppo e lo ascoltino quando insegnerà loro ad essere onesti e rispettosi”.
L’angelo proseguì con un’altra domanda: “Non sono troppo grosse quelle mani?”.
“No”, rispose Dio continuando il suo disegno “Sono grandi abbastanza per poterli prendere tra le braccia e farli sentire al sicuro”.
“E quelli sono i suoi occhi?” chiese ancora l’angioletto indicandoli sul disegno.
“Esatto”, rispose Dio “Occhi che vedono e si accorgono di tutto pur rimanendo calmi e tolleranti”.
L’angelo storse il nasino e aggiunse “Non ti sembrano un po’ troppo severi?”.
“Guardali meglio” rispose Dio.
Fu allora che l’angioletto si accorse che gli occhi del papà erano velati di lacrime mentre guardava con orgoglio e tenerezza il suo piccolo bambino.
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