All’interno del castello del lavoro si mangia, si beve, si lavora, ci si guadagna da vivere. Si conoscono tutti. I poteri forti si stringono le mani, si fanno i piaceri, si prendono i caffè insieme. Mio figlio avrebbe bisogno di questo. Prego Prego. Ma poi per quella cosa di mio nipote come è andata a finire? Tutto apposto. I migliori dovrebbero stare dentro al castello, dovrebbero raccogliere quanto seminato, invece restano fuori alla porta in attesa che quella porta si apra. Gente senza naso, giovani e meno giovani che in seguito alle continue porte sbattute in faccia hanno il naso come i pugili. Eppure non fanno a cazzotti. Ricevono solo colpi bassi, allo stomaco. Colpi silenziosi che lasciano lividi irrequieti. Per entrare nel castello del lavoro c’è bisogno di una combinazione. In un sistema fondato sul merito, la capacità personale è la chiave che concede l’ingresso aldilà del portone. Nel nostro sistema invece le chiavi se le passano i figli dei figli, i nipoti e i cugini di Tizio o di Caio. Tu resti fuori. A tentare invano di indovinare la combinazione alfanumerica con le tue capacità, con il tuo istinto,con le tue conoscenze e la tua caparbietà. E invece imbecilli con sorriso beffardo ti passano vicino e entrano nel castello del lavoro grazie alla combinazione scritta da qualcuno su di un foglio con carta intestata. E se è vero che chiusa una porta si apre un porte, la domanda è: e se è nzerrat pure il portone?
Pippo Zarrella