Amiamo la perfezione, perché non la possiamo avere; la rifiuteremmo, se ce l’avessimo. Il perfetto è il disumano, perché l’umano è imperfetto.
L’odio sordo per il paradiso – il desiderio come quello della povera infelice che ci fosse la campagna in cielo. Sì, non sono le estasi
dell’astratto, né le meraviglie dell’assoluto che possono incantare un’anima che sente: sono il focolare, i pendii dei monti, le isole verdi nei
mari azzurri, i sentieri fra gli alberi e le lunghe ore di riposo nelle ville ancestrali, anche se non le possediamo mai. Se non c’è terra nel cielo, è
meglio che il cielo non ci sia. Allora il nulla sia tutto e finisca il romanzo che non aveva una trama.
Per poter ottenere la perfezione sarebbe necessaria una freddezza esteriore all’uomo e allora non ci sarebbe cuore di uomo capace di
amare la propria perfezione.
Ci stupiamo, amandola, della tensione verso la perfezione dei grandi artisti. Amiamo la loro prossimità al perfetto, però la amiamo perché è
solo prossimità.
FERNANDO PESSOA, IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE